Décimas del Migrante (Poesia del migrante)
Sonia Manzano Vela
Sonia Manzano Vela
Décimas del Migrante (Poesia del migrante)
marzo 2011
“Guayaquil, ciudad hermosa, de la América, guirnalda” (Juan Bautista Aguirre)
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“Guayaquil, bellissima città, ghirlanda d’America” (Juan Bautista Aguirre)
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Las veces que me ausenté de ti, mi ciudad materna se me puso el alma enferma por no tenerte a mi lado.
En algún tiempo pasado me fui a probar fortuna en tierras en que la luna no era la de tu cielo, ¡cuán amargo fue el desvelo cuando no dormí en tu cuna!
Estando como migrante en un país extranjero gané en él más dinero del que nunca había ganado, y trabajé como esclavo jornadas agotadoras, pero esas miles de horas me permitieron enviar el sustento hacia mi hogar sin dilación ni demoras.
Y desfilaron los años sin que pudiera volver, y este no poderte ver, ciudad de mangles y acacias, fue para mí una desgracia dura de sobrellevar, no puedes imaginar las veces que sollocé entre sorbos de café que no podía tragar.
No sabes cuánto extrañé tu regazo tropical cuando el invierno glacial me estremeció en tierra ajena, si supieras con qué pena te evoqué, ciudad lejana, que de repente una iguana de mi mente cayó al piso lo que produjo el hechizo de que subiera al Santa Ana.
Entonces sentí a tu río surcando por mi memoria, y volví a vivir la historia que en tus calles yo dejé el día en que me alejé sin saber por cuánto tiempo no sentiría tu aliento en mi rostro de emigrado, lo peor que me ha pasado fue no beber de tus vientos.
Mi paladar extrañaba con ansiedad desmedida las deliciosas comidas de tu cocina variada, menestra, arroz, carne asada me hicieron agua la boca y casi termina loca mi paciencia de migrante al no tener por delante los aromas que convocas.
Y fueron muchas las veces las que escuchando un pasillo mi pecho de hombre sencillo se puso sentimental y fue tan grande el caudal de cuitas que lo agobiaron que si no lo reventaron fue porque pude extraerlas del corazón hechas perlas que por mi rostro rodaron.
No digo que en esos lados a los que estoy aludiendo tuve que vivir sufriendo por mi facha forastera, pues si bien todo no era lo que se dice “agradable”, también hubo gente amable que me ayudó a soportar la desventura de estar partido en dos por un sable.
Porque en dos quedé partido cuando abandoné tu suelo, y cuando el avión alzó vuelo sólo mi cuerpo viajó, ya que mi alma quedó con mi familia y contigo, y pude paliar el castigo de no verlos frente a frente llevándolos en mi mente y soñándolos muy seguido.
El día en que regresé a ti, mi tierra gentil mí añorada Guayaquil, no lo podía creer, me tuve que convencer de tamaña suerte mía besando con alegría tu frente de madre amada, ni fuerza humana y sagrada sacarme de ti ya podría.
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Quando mi sono assentato da te, mia città materna la mia anima si è ammalata per non averti accanto a me.
In passato sono andato in cerca di fortuna in terre in cui la luna non era quella del tuo cielo, che amara era stata la vigilia per non aver dormito nella tua culla!
Essendo migrante in un paese straniero ho guadagnato più soldi che non avevo mai guadagnato prima, e ho lavorato come uno schiavo per giornate faticose, ma quelle migliaia di ore mi han permesso di inviare il vitto a casa mia senza ritardi né dilazioni.
Son passati anni senza poter tornare, né poter vederti, città di mangrovie e acacie, è stata per me una disgrazia dura da sopportare, non puoi immaginare tutte le volte che ho pianto tra sorsi di caffè che non potevo bere.
Non immagini quanto mi è mancato il tuo torrido grembo quando l’inverno glaciale mi ha scosso in terra straniera, se sapessi con quanto dolore ti ho evocata, città lontana, che all’improvviso un’iguana è caduta per terra dalla mia mente il che ha prodotto il sortilegio di essere salito sul Santa Ana.
Allora ho sentito il tuo fiume facendo dei solchi nella mia memoria, e ho rivissuto la storia lasciata nelle tue strade il giorno in cui mi sono allontanato senza sapere per quanto tempo non avrei sentito il tuo respiro sul mio volto da migrante, il peggio che mi è successo è stato di non bere dal tuo vento.
Il mio palato provava nostalgia con ansia smisurata del cibo delizioso della tua cucina varia, le verdure, il riso, la carne arrosto mi hanno fatto venire l’acquolina in bocca e stava quasi per impazzire la mia pazienza da migrante per non aver davanti gli aromi convocati.
E numerose sono state le volte che, mentre ascoltavo un pasillo, il mio cuore da uomo semplice è diventato sentimentale ed è stato così grande il torrente di pene che l’hanno afflitto che se non sono esplose è perché sono riuscito ad estrarle come perle dal cuore per farle rotolare sul mio volto.
Non dico che da quelle parti a cui mi sto riferendo ho dovuto vivere soffrendo a causa del mio aspetto da forestiero, poiché sebbene non tutto sia stato ciò che si suol dire “piacevole”, c’erano anche delle persone gentili che mi hanno aiutato a sopportare la sventura di essere scisso in due da una sciabola.
Perché sono rimasto scisso in due quando ho lasciato il tuo suolo, e quando l’aereo è decollato solo il mio corpo ha viaggiato, poiché la mia anima è rimasta con te e con la mia famiglia e ho potuto alleviare il dolore di non vedervi faccia a faccia portandovi nella mia mente e sognandovi molto spesso.
Il giorno in cui sono tornato da te, mia terra gentile mia agognata Guayaquil, non potevo crederci, mi son dovuto convincere di essere così fortunato di poter baciare con allegria la tua fronte di madre amata, che ormai nessuna forza umana né divina potrebbe separarmi da te.
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