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Le città, e i loro luoghi, sono beni comuni

buongiorno, sono Luca e scrivo da Bologna.

Faccio parte del collettivo di Làbas che lo scorso 8 agosto è stato sgomberato dopo 5 anni di attività nell’ex caserma Masini. Una di quelle tante aree militari - quindi demaniali - che sono state abbandonate dagli anni 90 in poi. Come tante di queste aree la Masini è stata poi venduta, per fare cassa, a Cassa Depositi Prestiti che su queste aree mette in atto piani speculativi; basti pensare che il POC cittadino, modificato dopo la vendita, prevede la costruzione di un albergo di lusso, degli uffici e un parcheggio, in una zona già fortemente colpita dalla speculazione e a di destinazioni di questo tipo.

Questi tipi di vendite, per far cassa, da parte delle amministrazioni sono molto comuni. La svendita del pubblico a favore di privati, speculatori che modificano la città, che allontana sempre più chi la vive. Ma chi decide sulla città? Chi vive la città o poteri economici forti? Un’amministrazione, quella bolognese, estremamente schizofrenica che da un lato svende quasi tutto il pubblico, ma dall’altra si dota di un regolamento sui beni comuni - auto candidando Bologna città dei beni comuni - riempiendosi la bocca di parole come partecipazione e amministrazione condivisa, ma lo stesso regolamento è poco coraggioso, poco accessibile economicamente e a forme informali di agregazione. Un regolamento che non è stato mai applicato nemmeno nella sua formula completa, utilizzato solo per curare del verde pubblico, pulizia di portici, ma quasi mai agli innumerevoli edifici vuoti all'interno della città pubblici e privati. 

In 5 anni abbiamo ridato vita a quello spazio che era abbandonato da più di 15, riaprendo una piazza all città dando la possibilità di provare prodotti genuini - grazie alla collaborazione con campi aperti accociazione per la sovranità alimentare -, abbiamo creato laboratori di partecipazione attiva con studenti, residenti, migrati. laboratori di elaborazione alimentare, una ludoteca per i bambini del quartiere, una falegnameria sociale, un dormitorio sociale autogestito, una scuola di italiano e tante altre forme di welfare dal basso, fatte di autorganizzazione e cittadinanza attiva. Insomma i 5 anni nell’ex caserma hanno fatto riscoprire al quartiere l’esistenza della caserma, ma anche della socialità e di essere un po’ più comunità di quanto si pensasse. Comunità che ha costituito anche un comitato “ex caserma bene comune” per la tutela e la difesa di questo bene, che ci è stata vicino ogni volta che venivamo minacciati di sgombero che ci è stata vicina nel momento più difficile quale lo sgombero e le sue vicende successive.

5 anni di autogestione, di autorganizzazione, di collaborazione col quartiere e partecipazione attiva del quartiere, che oggi si chiede come queste nuove forme di welfare possono essere considerate a pieno beni comuni, come è possibile ridare alla città l'uso di spazi pubblici? Come l'attivazione dei cittadini può ridisegnare le città sempre più in vendita?

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